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Il contributo alla crescita di Mantova

Ultimo aggiornamento: 4 agosto 2025, 18:07

L'hanno definito in tanti modi. Osservatorio dell'intelligenza mantovana. Fabbrica di cervelli. Vivaio di teste d'uovo. Lo stesso fascismo cercò di fame un allevamento della propria classe dirigente. E tanti amministratori, tanti politici proprio in esso si sono fatti le ossa. Insomma, nella storia mantovana degli ultimi 80 anni l'istituto Giuseppe Franchetti ha una sua valenza non dimenticabile, occupa un posto di tutto rispetto. Ha fatto studiare migliaia di giovani, altri li ha aiutati: soprattutto con il tradizionale appuntamento, ogni anno, del bando di concorso ha agito da stimolo, da pungolo tra le giovani intelligenze della città e della provincia. Esagerazioni? Non direi. Il tempo è giudice, recita la massima. Nel caso del Franchetti, invece, il tempo si è rivelato pessimo giudice, perché i suoi meriti, oggi, sono per la gran parte dimenticati. Ma al cronista che si è avventurato nel passato dell'istituto, che s'è letto le migliaia di pagine delle centinaia di verbali delle riunioni delle commissioni amministratrici che negli anni si sono succedute, le risultanze, dati alla mano, sottolineano un'unica e insostituibile funzione dell'istituto nel progresso mantovano. Perché, per parlar chiaro, nel 1906, quando dopo tre anni di non facile gestazione l'istituto Giuseppe Franchetti è stato reso finalmente operativo, nel Mantovano chi arrivava al diploma faceva di per sé notizia. Per non parlare di chi riusciva a laurearsi. Gli assegni che al suo apparire, e per molti anni successivi, il Franchetti concedeva ai concorrenti ritenuti validi, erano di tale consistenza da coprire, se non tutte, quasi tutte le spese per un anno universitario, o per frequentare qualche studio di pittura allora di buon livello, o per raffinare le doti canore presso qualche valido maestro, o, addirittura, per perfezionare gli studi in qualche celebre sede straniera di università. E' materialmente impossibile, in questa sede, dire quanti giovani hanno potuto giungere a un esito positivo dei loro studi grazie al Franchetti o, almeno, con lo zampino del Franchetti; l'impressione di chi, per scrivere questa storia, si è tuffato nel passato, è che per tanti, almeno dalla costituzione sino all'immediato dopoguerra, il ruolo del Franchetti sia stato fondamentale. Tanti di quei professionisti i cui nomi, a livello mantovano, godono di notorietà. E tanti anche di quelli che, al di là di Mantova, hanno raggiunto il successo.
Una cosa è sicura. L'istituto Franchetti è nato in un periodo di povertà culturale non solo mantovana. Basta dare una occhiata alle date per rendersene conto. Il Franchetti comincia a operare nel 1906. A quale livello sia l'istruzione è ricostruibile. Nel 1900, dicono le statistiche, due italiani su 10.000 proseguivano gli studi oltre le elementari. E' una media nazionale, d'accordo, che tiene conto dei dati del centro-sud dell'Italia, allora più di oggi depresso e in condizioni di particolare arretratezza culturale. E' dunque pensabile che il Mantovano (che, comunque, era considerato tra le aree depresse della Lombardia e che pure aveva dimenticato gli effetti della dominazione austro-ungarica cessata nel 1866 con l'annessione al regno d'Italia) sia al di sopra della media. Anche se non di tanto.
Ma andiamo avanti con le statistiche. Il censimento del 1901 ha rivelato che gli analfabeti in Italia sfiorano il 50%. Come dire che un italiano su due non sa leggere o non sa scrivere. In Lombardia la media di analfabeti (siamo sempre ai dati del 1901) si abbassa parecchio: é al 20%, ovvero un lombardo su cinque è analfabeta. Mantova è al di sopra della media lombarda. Al di là dell'analfabetismo la situazione resterà stabile per anni. La scuola secondaria continuerà per parecchio tempo a essere considerata privilegio di pochi. Nel 1914, per esempio, gli istituti medi sono frequentati dall'8 per mille della popolazione; se la scuola secondaria può essere un privilegio, è facile comprendere che cosa possa rappresentare l'università. Nel 1900 gli studenti universitari sono 26.000 in tutt'Italia, cifra che resterà stazionaria per tanti anni, superando quota 30.000 solo nel 1915, anno in cui i laureati sono 2778 (e solo 292 donne). E' una situazione che ha due spiegazioni: da un lato l'arretratezza culturale dell'Italia che da pochi decenni ha raggiunto l'unità nazionale, dopo secoli di divisioni e di spietata dominazione. Dall' altro il tenore di vita molto basso. Il reddito nazionale lordo nel 1903 è di 13.050 milioni, il reddito pro capite di 379 lire, che salirà a 407 nel 1906 quando il Franchetti comincia ad agire e per dire di quelle cifre basterà sottolineare che, appunto nel 1906, a Vindizio Nodari Pesenti per un soggiorno di studio in varie città italiane verranno concesse 1300 lire, ovvero tre volte esatte il reddito medio annuo di un italiano. A spulciare la Gazzetta di Mantova di quegli anni si può comunque rilevare che ogni sessione di laurea i neodottori di sangue e residenza mantovani erano due-tre per volta e i diplomati del regio istituto Pitentino toccavano raramente i 15 per anno. Insomma, a Mantova, come nel resto d'Italia, l'istruzione secondaria era privilegio di pochissimi e ancora meno erano quelli che si avventuravano negli studi universitari. Anche perché non essendo Mantova sede universitaria (e la città, oltre tutto, già allora soffriva l'isolamento stradale e ferroviario), andare all'università, significava trasferirsi per quattro-cinque o anche più anni, con spese che solo famiglie ricche potevano sopportare.

E' in questo contesto, dunque, che il Franchetti comincia a seminare borse di studio, o per dirla, con il linguaggio di quei tempi, assegni e premi (questi ultimi erano concessi una tantum). E il ruolo che può aver giocato nel progresso della collettività mantovana, sicuramente sino all'immediato dopoguerra, è di per sé comprensibile. Sono in tanti ad aver raggiunto una laurea o una specializzazione post laurea solo perché hanno potuto godere del fiancheggia mento di questo istituto che è unico nella storia mantovana e che per la sua struttura non ha molti eguali nel panorama italiano. Ma c'è qualcosa d'altro da sottolineare, proprio per mettere in risalto la funzione stimolatrice nella realtà culturale mantovana del Franchetti. L'istituto non è stato solo dispensatore di borse di studio a chi, già con un diploma, voleva la laurea o a chi, già laureato, inseguiva la specializzazione. Così come il fondatore, Giuseppe Franchetti, aveva abbastanza chiaramente scritto nel testamento, gli aiuti del Franchetti sono andati a tanti che tentavano una carriera artistica. Come pittori, scultori, cantanti lirici, musicisti. Addirittura aspiranti poeti. E' emblematico, a questo proposito, l'episodio di Guido Bassi, qualificato come poeta autodidatta nei verbali del Franchetti, che nel 1900 chiede un aiuto economico per poter studiare, o per essere più precisi, proprio per diventare poeta. La risposta è positiva: a Bassi il Franchetti paga le lezioni private, prima da Quintavalle Simonetta (laureata in lettere), che perde alla svelta la pazienza e finisce per dimettersi dall'incarico, poi da don Pellegrino Accordi. E, al di là del campo artistico, il Franchetti è arrivato a non negare aiuto né alle promesse dello sport, né agli operai che aspiravano a migliorare la loro istruzione e la loro posizione. Il che è come dire che l'istituto non è stato gestito con criteri élitari, si è sempre aperto a tutte le istanze. E ogni domanda è stata puntualmente vagliata anche se arrivava fuori dei termini: se chi cl:J.iedeva, aveva meriti particolari da proporre, l"aiuto era sicuro. Un aiuto che, spesso, si spingeva a pagare gli studi all' estero. Non penso siano stati molti gli italiani che all'inizio del secolo potevano perfezionare i loro studi, o arricchire le loro specializzazioni frequentando le più consacrate università straniere. In media, il Franchetti rispondeva positivamente una volta all' anno a richieste del genere.

Né, ultimo appunto, è mai stata fatta discriminazione tra uomini e donne. Eppure, quando il Franchetti ha cominciato a incidere nella realtà mantovana, le donne che arrivavano alla laurea erano pochissime in tutt'Italia, meno di 200 all' anno, neanche un decimo degli uomini. Già al suo apparire le donne sono presenti in discreta percentuale nell'elenco dei premiati. E neppure nel pieno del fascismo, quando la carta della scuola che portava la firma di Giuseppe Bottai scoraggiava la donna ad avere ambizioni di lavoro e indicava nei compiti familiari il loro vero dovere di fasciste (in perfetta coerenza con una politica di sollecitazione demografica) il franchetti attuerà la discriminazione uomodonna. L'unica discriminazione stava nei meriti. Chi ne poteva vantare, poteva star tranquillo su aiuti che sarebbero stati ripetuti per tutto il corso di laurea. Chi non ne poteva vantare, doveva rassegnarsi. E chi, ricevuto l'aiuto, sgarrava, doveva attendersi sollecitazioni e rimproveri che arrivavano puntuali.
Insomma, per almeno 50 anni della sua attività il Franchetti non ha mai recitato un ruolo passivo, non è stato l'anonimo ufficio che burocraticamente assolveva ai suoi compiti istituzionali e che spendeva pur di spendere. Al di là del fatto che è stato retto con un' oculatezza amministrativa che permette di godere oggi, pur non avendo mai avuto sovvenzioni o aiuti (al contrario è stato il Franchetti ad agire da sovvenzionatore), di un patrimonio addirittura superiore di quello della nascita, l'istituto ha puntualmente esaminato i concorrenti di ogni anno. Ha sviscerato le effettive condizioni economiche (come al solito qualcuno tentava il raggiro), ha effettivamente fatto una scala di meriti, ha controllato quei meriti negli anni successivi. Il fatto stesso che i beneficati, per gran parte, una volta raggiunto il successo nella professione e fuori dai confini mantovani, se non addirittura italiani, abbiano sentito il desiderio di farsi vivi con l'istituto è di per se stesso motivo di orgoglio. Come è motivo di orgoglio il fatto che i lasciti che si sono succeduti dal 1906, sulla scia del primo esempio del fondatore, portino in gran parte la firma di vecchi, vecchissimi beneficati del franchetti. Oggi i tempi sono cambiati. Da privilegio di pochi l'istruzione superiore è istruzione di massa. Da università d'élite l'università italiana con il suo milione e passa di iscritti all' anno, è università di massa e la funzione del Pranchetti così come l'aveva sognata il suo fondatore, ha finito per smarrirsi. C'é, evidentissima, la necessità di reinventarla, di fare, a questo scopo, un grosso sforzo di fantasia perché le potenzialità dell'istituto, comùnque intatte, a incidere nel tessuto dell'intelligenza mantovana non si perdano. Perché come ieri e come l'altro ieri, anche domani il Franchetti possa restare quell'incredibile fabbrica di cervelli che è stato per tanti decenni.


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