Franchetti

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La nascita dell'Istituto

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La commissione incaricata di stendere lo statuto da cui dovrà nascere l'istituto voluto da Giuseppe Franchetti è costituita seguendo alla lettera i suggerimenti del testatore. Il consiglio comunale di Mantova nomina, il 7 maggio 1903, Ugo Scalori, professore e allora sindaco di Mantova, e Archinto Berni, anche lui professore. Dal consiglio provinciale arriva il 5 ottobre 1903 Cesare Aroldi, professore. E, infine, l'11 ottobre 1903, la commissione israelitica di culto e di beneficenza nomina come suoi rappresentanti Ugo Monselise e Achille Finzi, entrambi avvocati.

Completa la commissione Giuseppe Musatti di Venezia, che è poi lo stesso esecutore testamentario, nella sua qualità di nipote acquisito di Giuseppe Franchetti. Musatti aveva infatti sposato Adele Franchetti, nipote prediletta, come sottolineano le cronache di quel tempo, del Grande Benefattore e al suo fianco nel momento della morte. La commissione, chiamata ad interpretare la volontà del testatore e a realizzare le sue intenzioni, si riunisce la prima volta il 13 novembre. Né è eletto presidente per acclamazione Ugo Scalori; segretario provvisorio Ciro Bomollo, laureato in scienze economiche e commerciali. Sono passati solo sette mesi dalla morte di Giuseppe Franchetti e si cominciano a porre le prime pietre di quella fabbrica di cervelli quale saprà poi rivelarsi l'istituto Giuseppe Franchetti, per i mantovani, molto piu semplicemente, il Franchetti.

Si è detto che l'entità del patrimonio lasciato da Franchetti per la creazione dell'istituto equivaleva a una cifra che oggi oscillerebbe tra i diciotto e i diciannove milioni di Euro. Una somma, dunque, di tutto rispetto e che permette di capire come, pur passando attraverso due guerre mondiali, vent'anni di fascismo e progressive svalutazioni l'istituto abbia tuttora una notevole consistenza patrimoniale che consente di dispensare un discreto numero di milioni ogni anno.
Al di la di questi appunti, non appare
inutile qualche cenno sull'Italia e sulla Mantova di allora, anche se le statistiche, per quel periodo, sono avarissime.

Quando Giuseppe Franchetti muore, l'Italia e agli inizi di quel periodo di certo benessere e anche di discreta stabilità politica che gli storici definiscono l'età giolittiana (1901-1913). Presidente del consiglio e Giuseppe Zanardelli, ma il punto fermo della realtà politica italiana e lui, Giovanni Giolitti, che occupa la carica di ministro dell'interno, che si preoccupa di mediare guardando a sinistra e che nell'autunno del 1903 diventerà per la seconda volta presidente del consiglio, occupando il posto di Zanardelli.
E' un'Italia che sta facendo la sua conoscenza con l'industrializzazione e la Lombardia in questo processo e già all'avanguardia. Milano, per esempio, si sta avviando a diventare metropoli: dal 1881 al 1901 ha visto crescere del 53 % la popolazione residente entro la vecchia cerchia delle mura cittadine; la crescita sarà ancora piu vistosa nel decennio che corre dal 1901 al 1911.

E Mantova? La Mantova del 1903 è sulla via di un certo benessere. Certo, in relazione a quei tempi, naturalmente. II censimento del 1901 permette una fotografia approssimata della città, denunciando quelle carenze e quei problemi che Giuseppe Franchetti ben conosceva (non per altro è stato presidente della Camera di commercio, terzo presidente dell'annessione di Mantova al Regno, per ben 26 anni, cioè dal 1876 al 1902) e che lo avevano spinto a riservare ai soli studenti mantovani i benefici di quell'istituto che aveva avuto in mente per piu di 30 anni.
Mantova con i suoi 29.142 abitanti e poco piu di una cittadina. La provincia ha invece 315.448 abitanti. Una provincia a vocazione quasi esclusivamente agricola. Come le cifre del censimento propongono: della popolazione attiva e occupata, gli addetti all'agricoltura sono quasi 100.000, per l'esattezza 95.353; nell'industria gli occupati sono invece 31.865 e nel commercio, infine, 12.561. Una provincia di emigrazione, come ben sapeva appunto, Franchetti: se ne vanno generalmente i giovani che riescono ad arrivare alla laurea o al diploma e che devono cercare altrove (quasi puntualmente a Milano) sfoghi occupazionali. La città vive di riflesso della ricchezza della campagna (l'agricoltura mantovana si propone gia all'avanguardia e dal punto di vista sociale c'e un grande fermento, si estendono a macchia d'olio le affittanze collettive), ha un saldo naturale quasi sempre negativo e le industrie si contano con le mani. E' dunque in questo contesto che Franchetti ha sognato il suo istituto, lo ha sognato al servizio dei mantovani, al servizio di una città che, nonostante la molteplicità dei suoi affari, non ha mai abbandonato. E quale apporto l'istituto Franchetti abbia dato a Mantova lo si capiva dallo svolgersi della sua storia, dalle migliaia di studenti che ha aiutato, dai tanti nomi di chi, beneficato, ha trovato nel lavoro il successo.

 Non è semplice il lavoro della commissione. Prima di arrivare a dar corpo alle volontà di Giuseppe Franchetti, prima di arrivare, insomma, a quello statuto (che a 80 anni di distanza ha subito pochissime modifiche rispetto all'originale), che e poi la carta costituzionale dell'istituto, occorreranno 31 mesi e 28 lunghe, pazienti, anche contrastate riunioni della commissione cui si era dato vita, seguendo le istruzioni del testatore, nel novembre del 1903. C'e qualche prurito polemico attorno al lavoro della commissione. E qualcuno in città ironizza anche pubblicamente. Il Cittadino di Mantova, bisettimanale cattolico, scrive, per esempio: "E' opinione dei piu che 1'eredita fatta al Comune produrra dei grattacapi per non dire altro".

Un'ironia che non tiene conto del difficile lavoro di interpretazione cui e costretta la commissione e del fatto che l'esperienza e quasi unica: istituti simili, allora, erano pochissimi in Italia. E' dunque un lavoro minuzioso quello della commissione che, insediatasi verso la fine del 1903, arriva alle conclusioni nell'aprile del 1906. Poi, finalmente, il 28 giugno del 1906, con atto firmato da Vittorio Emanuele III, re d'Italia, e controfirmato dall'allora presidente del consiglio e ministro dell'interno Giovanni Giolitti, si approvano sia 1'erezione del Franchetti in "Ente Morale sotto un'amministrazione autonoma" sia il relativo statuto.

In questa sede sembra opportuno sottolineare, per dire della passione con cui gli appartenenti alla costituente dell'istituto si dedicano alla realizzazione delle volontà di Giuseppe Franchetti, che ognuna delle 28 riunioni e stata tenuta nei ritagli di tempo lasciati ai partecipanti dagli impegni pubblici, politici, professionali e familiari. Non ci si può non stupire, scorrendo i primi verbali e leggendo di riunioni convocate quasi sempre il sabato pomeriggio o la domenica, se non addirittura in giorni come santo Stefano e 1'Epifania. Riunioni lunghe, pazienti, anche accese, si diceva. In effetti, anche se il testamento era stato piu volte corretto, Giuseppe Franchetti era stato piuttosto vago nella definizione delle sue volontà. E gli scogli che la commissione incontra nell'interpretazione del testamento e dei vari codicilli e per adeguare alla realtà le intenzioni del testatore sono numerosi e non facilmente superabili. Il primo, forse il piu importante problema, che occupa non poche sedute, e rappresentato da quel vaghissimo "studi di perfezionamento" indicato nel testamento. Cosa intendere, dunque, per "studi di perfezionamento?".
Soccorre nell'interpretazione addirittura un'analisi del linguaggio di Franchetti (che come presidente della Camera di commercio aveva gia istituito borse di studio con il fine del perfezionamento). E all'interpretazione "piu rigorosa" della volontà si sostituisce un'interpretazione "che consentisse una maggior larghezza".

In altre parole, alla prima, piu rigorosa ipotesi che intendeva per " studi di perfezionamento" soltanto gli studi post-universitari, si preferisce l'estensione massima del concetto; per esempio, anche il perfezionamento dell'artista, sia del pittore sia del cantante lirico. Ma, risolto questo problema, eccone un altro. Che tipo di studi di perfezionamento? Franchetti aveva parlato di "qualunque ramo di scienza civile e militare, d'arte e d'industria". Osserva la commissione che "quest'ultima espressione è molto lata e parrebbe comprendere tutte le diverse attività dello spirito". Anche le scienze teologiche, dunque? E' un problema che e posto. E che e risolto con l'esclusione, abbastanza ovvia per tempi come quelli di anticlericalismo. La sentenza della commissione e chiarissima: Chi ben guardi, se il testatore alla parola generica e comprensiva "scienza" ha fatto seguire i due aggettivi "civile e militare" a determinarla e specificarla, questo sta ad indicare che non tutte le scienze vi sono incluse.
E la commissione ritiene che gli studi teologici, senza, naturalmente, una possibile differenza tra le diverse confessioni religiose, debbano essere esclusi, per lo speciale significato dell'aggettivo "civile > che, nel linguaggio comune, e adoperato in contrapposizione a "religioso".
Se cosi non fosse, non si riuscirebbe a comprendere per quale ragione il testatore non avrebbe detto, semplicemente, qualunque ramo di scienza, d'industria e d'arte.

Si diceva dei concetti estensivi ed elastici adottati dalla commissione nell'interpretazione del testamento. A tal punto che si decide di aiutare chi merita anche nella frequenza di laboratori o insegnanti privati. "Nei riguardi delle arti e delle industrie", si legge nella relazione che accompagna la definitiva stesura dello statuto, "la Commissione si e preoccupata del caso che qualcuno, il quale in un determinato ramo abbia dimostrato singolare abilità ed attitudine, e intenda perfezionarsi, e non trovi opportuno, per ragioni che possono essere molte e varie e buone, o possibile, iscriversi presso qualche Istituto o Accademia o Scuola di istruzione speciale, ma chieda, invece, di recarsi presso qualche laboratorio o qualche insegnante, la cui fama sia, naturalmente, tale da costituire garanzia sufficiente di serietà e di valentia. E la Commissione ha creduto di stabilire che questo non possa costituire un ostacolo all'ammissione alla beneficenza, pensando che questa maggiore larghezza circondata da prudenti cautele non contrasti in alcun modo né con la lettera né con lo spirito del testamento".
E succiderà piu volte che il Franchetti paghi insegnanti.privati per aiutare chi ha dimostrato doti non comuni nella musica lirica e classica, nella pittura, addirittura nella scherma.

L'elasticità interpretativa della commissione non deve essere confusa con l'eccessiva benevolenza. C'e vigorosa sottolineatura, coglibile dal verbale di una riunione, che val la pena di proporre integralmente. Si scrive, dunque: "L'istituto non deve, in alcun modo, essere un vivaio artificiale di giovani che ammantino, sotto la speciosa apparenza di un nobile desiderio di perfezionarsi, quello di continuare la vita dello studente, né un creatore di nuove mediocrità e di nuovi spostati, eterne vittime nella aspra lotta quotidiana per la vita. Le Commissioni venture non dovranno mai dimenticare le parole del testatore, che indicano necessaria una grande severità di giudizio. Alla maggiore larghezza nella possibilità di concorrere deve corrispondere un esame piu scrupoloso e piu severo dei meriti degli aspiranti che dovranno, con gli studi già compiuti, tranquillare pienamente la coscienza di chili deve giudicare se meritevoli o no di aiuto. Cosi, e solo cosi, l'Istituto costituirà un eccitamento valido di lavoro assiduo e fecondo, una forza nuova dalla quale irradierà una luce benefica su tutta la nostra provincia: solo cosi, con una selezione attenta e rigida di chi veramente eccelle da chi e mediocre e inetto, l'Istituto sarà precipuamente educativo, secondo le nobili ed alte intenzioni del benemerito testatore".

Altro problema da risolvere, nell'interpretazione del testamento, le caratteristiche della mantovanità. Franchetti, nella prima stesura del testamento, aveva parlato di premi "estendibili a tutta l'Italia". Poi, nel penultimo codicillo aveva sottolineato che le disposizioni testamentarie dovevano essere «limitate ai giovani appartenenti alla Città e Provincia di Mantova" per rispondere al "continuo deperimento economico di questa città e provincia". Non e dunque, osserva la commissione, "un angusto concetto di gretto campanilismo che ha guidato l' animo del testatore nel fare questa restrizione, ma un illuminato pensiero di affetto alla sua terra natale". Da qui la deduzione. "Se tale fu l'intento suo, e logico dedurre come non la sola nascita nella nostra provincia, che può essere affatto casuale, possa radicare in chiunque il diritto ad aspirare al beneficio concesso dall'Istituto Giuseppe Franchetti. Il fatto della nascita costituirà, si, un titolo di maggior favore, ma solo quando esso sia accompagnato dalla effettiva residenza. Solo in tal caso si potrà dire che uno "appartiene" a una determinata provincia; non bisogna dimenticare che il testatore non ha parlato di "nati", bensi di "appartenenti" alla nostra provincia. Occorre, dunque, un vincolo più stretto e più saldo; un vincolo fatto di ricordi, di conoscenze, di affetti che non sia solo quello della nascita, perché un possa aspirare agli assegni o ai premi dell'Istituto Giuseppe Franchetti. Ma non basta. L'Istituto deve tornare utile alla nostra provincia, non solo sovvenendo i giovani meritevoli e bisognosi, ma anche favorendo, così, il risvegliarsi tra noi di energie attive e feconde, sopite sino ad ora, per la mancata possibilità di svolgersi. Ora e naturale che a parità di condizioni e di meriti, si debba preferire chi si ha ragione di credere che esplicherà la sua attività in mezzo a noi, piuttosto di chi, compiuti i suoi studi, se ne andrà lontano. E', purtroppo, un fenomeno doloroso quello che si verifica nella nostra città e che anche l'ultimo censimento ha posto in luce. La nostra popolazione non varia di numero, ma varia di qualità: se ne vanno, attratti dall'intenso desiderio di migliorare le proprie condizioni e dall'invincibile malia esercitata dalle grandi città - "le città piovre", come furon dette - gli elementi attivi e operosi e, a compensarli, se ne vengono dalle campagne intorno quelli non piu adatti alle aspre fatiche, per la speranza di un aiuto dalla pubblica beneficenza. Ora, la Commissione non poteva in alcuna guisa esercitare una coazione sul futuro modo di vivere dei beneficianti, ma non poteva né pure non preferire chi, a suo giudizio, sarebbe tornato di utile diretto alla nostra provincia".
Ultimi e non lievi problemi "il criterio di non agiatezza" dei concorrenti e l'entità di assegni e premi agli studenti ritenuti meritevoli di aiuto. Sul primo problema si arriva alla decisione che "il criterio della non agiatezza non può essere assoluto". "Può, ad esempio, una famiglia essere in grado di mantenere uno dei propri figli agli studi, e possono le sue condizioni economiche vietarle di mantenerne due: possono certi studi esigere spese maggiori di altri: nella varietà grande dei casi e delle ipotesi e parso bene lasciare al prudente arbitrio della Commissione piena liberty...".

Per quanto riguarda assegni e premi si decide di fissare solo una cifra massima e si evita di stabilirne una minima ("... e questo per evitare che l'Istituto diventasse un distributore di beneficenza minuta, una specie di istituto elemosiniero"). La cifra massima determinata dallo statuto e notevole. In grado, comunque, di coprire dignitosamente le spese di un anno di frequenza universitaria. E compete con le maggiori borse di studio dell'epoca (3.000 lire da parte della Cassa di risparmio delle province lombarde e 5.000 lire di alcune rarissime borse di studio governative). Altri problemi, infine, vengono sia dalle osservazioni della giunta provinciale amministrativa, sia dalle osservazioni del consiglio di stato, chiamati, in tappe successive, all'approvazione definitiva dello statuto.

Finalmente, nell'autunno del 1906 l'Istituto Giuseppe Franchetti, con sede provvisoria in via Giovanni Chiassi, in poche stanze (prese in affitto) del palazzo Aldegatti, e messo in grado di operare. Nel settembre, e pubblicato il primo bando. Comincia cosi la storia edificante e suggestiva di un ente che come pochi altri ha saputo incidere nel tessuto mantovano, sia cittadino sia provinciale. Di un ente che in quasi ottant'anni di vita si e rivelato (soprattutto negli anni del fascismo quando riuscì, comunque, a conservare un rispettabile grado di autonomia, e nell'immediato dopoguerra) 1'unica fonte di aiuto per schiere di studenti che, altrimenti, non avrebbero avuto possibilità alcuna di continuare gli studi. Di un ente che ha accompagnato sino alla laurea, e spesso anche piu in là, una discreta parte dell'intelligenza mantovana: professionisti noti a tutti, medici, avvocati, professori, ingegneri, architetti, commercialisti, e anche pittori, scultori, cantanti.

Può darsi che questo sguardo al passato accompagnato da una sequenza di aggettivi glorificanti spinga al sorriso ironico. Ma ieri, settanta come trent'anni fa, il diritto allo studio non esisteva. C'erano pochi privilegiati che, capaci o non, potevano avventurarsi negli studi superiori, forti di solidi sostegni familiari. Chi non godeva di questo privilegio, non aveva molte altre possibilità per continuare. Le forme di incentivo per chi era povero e meritevole erano minime e, comunque, il piu delle volte si esprimevano in aiuti ridottissimi, se non risibili. Ecco perché l'Istituto Giuseppe Franchetti e importante; ecco perché ha un suo ruolo incisivo nella storia mantovana che scorre dall'inizio del secolo sino a oggi. Sono migliaia i giovani che, grazie a esso, hanno potuto continuare e concludere gli studi, sino ad arrivare alla laurea e oltre.
E sono centinaia quelli che, grazie alla lungimiranza degli amministratori, hanno conosciuto rapidamente il successo professionale. In questo senso, la storia, la non piccola storia del Franchetti, e la stessa ultima storia di Mantova. Per tanti motivi. Perché, sempre puntualmente, chi ha fatto parte della commissione amministratrice del Franchetti appartiene già alla storia politica locale. Perché, con frequenza piu che discreta, gli studenti di ieri, beneficati dall'istituto hanno saputo conquistare il successo. Perché ogni grande avvenimento di questi ultimi ottant'anni si e inevitabilmente riflesso nella vita quotidiana dell'istituto.

Certo, 1'istituto Giuseppe Franchetti e stato ed e, con le sue strutture ridotte all'osso, il suo modestissimo organico (di media, in quasi 80 anni di vita, due dipendenti: un segretario e un amanuense o un fattorinousciere), un microcosmo. Un mondo piccolissimo in cui pero si e riflessa la storia mantovana e a cui si sono affacciati, accontentati o non, migliaia e migliaia di studenti. Esatto: migliaia e migliaia. Perché, nei momenti di maggior splendore dell'istituto, le domande per ottenere assegni o premi una tantum sono arrivate a toccare anche punte di 200 in un solo anno e le risposte positive, talvolta, hanno addirittura superato quota 100. Di soldi, in altre parole, il Franchetti ne ha dispensati tanti. Di media, nei suoi primi anni di vita, piu del 10% del bilancio era investito per aiutare gli studenti meritevoli. Un investimento lungimirante e ragguardevole. Ci si può chiedere oggi se, allora, era possibile superare certi limiti. La risposta e negativa: con un patrimonio che consisteva per la maggior parte in fondi agricoli e chiaro che, per la sua salvaguardia, una discreta parte del bilancio annuo sfumava proprio per la conduzione dei fondi.
C'e, poi, una parte di storia mantovana nella stessa commissione amministratrice dell'istituto, commissione che, per tre quinti era di nomina politica (i tre commissari, cioè, la cui designazione spettava e spetta ai consigli comunali e provinciali). In questo senso, dunque, il Franchetti ha rappresentato una certa fotografia della vita pubblica mantovana ed e spesso stato il primo banco di prova per tanti politici destinati a rilevanza non tanto locale.

Come ente the non ha faticato a radicarsi nella realtà cittadina ed extracittadina, il Franchetti finisce per essere cosI, nello svolgersi della sua storia, un particolarissimo osservatorio di Mantova, offrendo materiale per una storia degli ultimi 80 anni, non ancora scritta con certo respiro. Perché dalle centinaia e centinaia di pagine dei verbali (per molti anni scritti a mano), della commissione amministratrice si percepisce la stessa atmosfera della città. Cosi si avverte la prima grande guerra. Cosi si avverte la tragica avventura del fascismo. Che, per non pochi anni, a sottolineare quell'autonomia di cui l'istituto e sempre stato gelosissimo, non riuscirà ad allungare i suoi tentacoli sulla fondazione (in una storia dell'antifascismo mantovano it Franchetti potrebbe vantare una sua aureola). Cosi, ancora, si avvertono gli anni del consenso di massa al fascismo, it via alle persecuzioni razziali (non si dimentichi the it Franchetti era sorto grazie al lascito di un ebreo e che per precisa volontà del testatore due membri della commissione amministratrice erano designati dalla Comunità israelitica mantovana) e quell'estate stupita del 1943, quando il fascismo si propone a tanti come uno spettro ormai lontano, e, ancora, i lunghi drammatici mesi della repubblica sociale di Salo. Poi, gli anni della grande festa della liberazione, prima, e della ricostruzione, dopo. Se si vuole, solo pennellate (e pennellate minute) di quel grande affresco the può significare un ottantennio. Comunque, pennellate the hanno un loro senso edificante e istruttivo. Che possono raccontare agli studenti di oggi degli studenti di ieri; the possono proporre immagini sepolte dai ritmi affannosi della realtà quotidiana; the possono svolgere capitoli di progresso, un progresso mantovano (ma non solo mantovano), reso possibile, anzi facilitato, anche dalla lungimiranza di un uomo it cui nome, a tanti mantovani, probabilmente oggi non dice nulla e the ha impegnato buona parte della sua vita a mettere fondamenta non gia a un vanitoso mausoleo, ma a un monumento di cui, alla sua morte, tutta Mantova potesse godere.

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